Ask a Conservator Day: tutto quello che avete sempre voluto sapere sul mondo del restauro

Lo scorso 4 novembre, come vi abbiamo raccontato su Instagram, si celebrava l’Ask a Conservator Day, una giornata in cui il pubblico poteva fare tutte le domande che voleva a restauratori e conservatori, per stimolare l’interesse e il dibattito su questo tema e per ricordare l’episodio dell’alluvione di Firenze, accaduto proprio il 4 novembre 1966.

Proprio su Instagram, Open Restoration ha aperto un box per raccogliere le domande del pubblico, e qualcosa di curioso è emerso! Proviamo a rispondere in questo articolo alle domande arrivate ma, se avete altre curiosità, non esitate a scriverci. D’altronde lo dice anche il nostro nome, questo è un luogo virtuale ma davvero “aperto” allo scambio e alla conoscenza sui temi del restauro!

Dunque, per iniziare, nei contenuti Instagram per la giornata del 4 novembre vi avevamo raccontato che proprio quel giorno del 1966 una violenta alluvione colpì la città di Firenze provocando lo straripamento dell’Arno ed ingenti danni al patrimonio storico artistico, tanto da far diventare questo episodio il simbolo della necessità di un approccio scientifico alla conservazione del Patrimonio.

Un follower di Open Restoration, allora, ci ha chiesto: “Come mai proprio dall’alluvione di Firenze è nato l’approccio scientifico alla conservazione? È successo qualcosa di particolare?”

Una domanda molto interessante! L’episodio in questione è infatti particolarmente famoso per i danni a opere d’arte e documenti storici. Pensate che i magazzini della Biblioteca Nazionale Centrale furono invasi dal fango, causando grossi danni su preziosi manoscritti e antiche opere a stampa; la celebre Porta del Paradiso del Battistero del Duomo con le formelle del Ghiberti fu spalancata a causa della forza delle acque e dei detriti; il Crocifisso di Cimabue alloggiato all’interno del Museo della Chiesa di Santa Croce venne completamente inondato, e grandi porzioni degli strati di pittura andarono perduti; molte opere che si trovavano all’interno dei depositi della Galleria degli Uffizi furono danneggiate.

Danni davvero immensi, su opere importantissime! L’eco dell’accaduto fu tale che proprio per recuperare le opere danneggiate vennero messe a punto tecniche innovative, e furono addirittura creati prodotti da restauro appositi: sotto la guida del soprintendente Ugo Procacci, i laboratori di restauro dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze raggiunsero in quegli anni livelli di avanguardia altissimi. Ecco perché, ancora oggi, quell’episodio viene ricordato come la nascita delle tecniche di restauro più moderne.

Un altro follower, poi, riguardo alla pratica del restauro in generale, ci ha scritto: “Qual è la prima domanda che ci si deve fare davanti ad un’opera da restaurare?”

Che dire, un altro quesito davvero furbo, ma che ci riporta all’approccio scientifico, un po’ da “dottori”, di cui parlavamo sopra! Sicuramente, la prima domanda che ci si pone quando un’opera arriva in laboratorio è: “Che cos’ha?”, ovvero quali sono i degradi che presenta, a quali fattori sono dovuti, quanto sono gravi, eccetera. Per capire quali danni affliggono un’opera, si procedere per gradi, come dei veri dottori nell’atto di fare una diagnosi ad un paziente partendo dai sintomi: prima di tutto si osserva l’oggetto e si documentano i danno più evidenti, quelli visibili ad occhio nudo, cercando di ipotizzarne le cause; poi, se c’è bisogno di una vista più “raffinata”, si può procedere con l’osservazione al microscopio di piccoli dettagli o utilizzando lampade specifiche; in seguito, per scoprire le cause dei degradi o la natura dei materiali, oppure per indagare gli strati “interni” dell’opera, si possono eseguire degli esami diagnostici specifici.

Tutte le informazioni ottenute, opportunamente analizzate con un intenso lavoro di team tra restauratori e scienziati, contribuiscono alla “diagnosi” circa lo stato di salute dell’opera, e danno al restauratore gli strumenti per progettare un intervento di restauro.

Eccoci allora giunti all’ultima domanda, ovvero “Non avete paura di rovinare definitivamente un’opera d’arte?”

Siamo sinceri, un po’ di timore nell’operare su oggetti di immenso valore da un punto di vista storico, artistico e culturale c’è sempre! Siamo coscienti dell’enorme responsabilità che un intervento su oggetti unici e irripetibili comporta, ed è proprio per proteggere il più possibile le caratteristiche storiche ed estetiche delle opere su cui lavoriamo che adottiamo l’approccio scientifico e graduale che abbiamo descritto sopra, sia per le fasi di analisi iniziale che per le operazioni vere e proprie.

In più, il percorso di studi abilitante in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali forma i restauratori nella maniera più completa possibile, con corsi di storia dell’arte e delle tecniche artistiche, ma anche di fisica, chimica e scienza dei materiali. E poi, le tante ore passate in laboratorio con docenti restauratori permettono agli studenti fin dal primo anno di acquisire abilità tecniche e manuali di alto livello.

Infine, l’attenzione e la passione che guidano ogni parte del nostro lavoro ci permettono di avere un atteggiamento vigile in ogni fase, in modo tale da garantire sempre, prima di ogni cosa, la tutela di questi Beni così preziosi per la nostra identità.

COPYRIGHT IMMAGINE DI COPERTINA: Firenze, Gabinetto Fotografico delle Gallerie degli Uffizi